IL FIUME CHE SCORRE DENTRO

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Testo di Francesco Giordano

Immagini di Francesco Giordano e Sergio Criminisi

 

Ci possono essere tante ragioni che ci spingono a procurarci una canna da pesca, a lanciare qualcosa in acqua e  seguire quel filo che ci conduce… ai nostri desideri. Ognuno per la sua storia personale, ognuno per l’esperienza o per l’incontro fortuito, viene in qualche modo a “ritornare” alla ricerca di un qualcosa che solo accidentalmente avviene attraverso la pesca e che forse ha più a che fare con se stessi. Da sempre, da bambino, ho lasciato che questi perché trovassero un dialogo e uno svelamento attraverso il mezzo acquatico, un modo per riconquistare un senso di appartenenza al tutto, alla natura ripristinando una continuità del proprio essere, della propria interiorità con il circostante e con il mondo “di sotto”, sotto il pelo dell’acqua. Questa continuità ha ormai da un pezzo ispirato ogni pensiero, ogni ricerca, ogni interpretazione, ogni studio che mi ha appassionato nella pesca che per me è un luogo mentale fatto di trasversalità, di contaminazione tecnica e se vogliamo di dubbi, di piccole conquiste, di acquisizione di un linguaggio e dell’abitudine all’osservazione interiorizzata, fino forse a farmi dimenticare di avere tra le mani una canna da pesca, un filo ed un artificiale. Con questo sguardo sono cresciuto, con questa “prospettiva” ho condotto i miei approfondimenti e la mia ricerca, certo che la pesca è una, unitaria, perché una è la natura e i suoi meccanismi; lo spinning è solo accidentalmente la tecnica che prediligo, pur continuando assiduamente a praticare ed approfondire le altre, è solo quella con cui posso cercare di interpretare, più da vicino, la natura cercando con il mio pezzetto di gomma di far parte un po’ di più di tutto quello….del tutto, sicuro che, per dirla alla Idini “ Di certo continuo a credere che il mare ti racconta tutto o quasi, basta saperlo leggere. La corrente ti indica come si posiziona un predatore, la schiuma ti lascia capire dove potrebbe stazionare, lo spazio tra un’onda e l’altra ti dice dove sono gli ostacoli sommersi, un breve bagliore attraverso l’acqua ti fa intravedere la dimensione ed il colore dell’artificiale che devi usare. E’ tutto lì, scritto su quella superficie che si estende tra te e l’infinito”.

La Spigola

La storia recente ma anche quella meno recente ha visto lo spinning evolvere verso una direzione autonoma e ciò per me non è un bene. La pesca a mosca, la bolognese, la pesca a fondo, il morto manovrato, e le pesche antiche tradizionali nel loro complesso hanno il medesimo punto di contatto che è la natura, i suoi meccanismi e l’ambiente nel suo complesso. Ogni pescatore che ho incontrato sul mio cammino ha apportato spunti di riflessione al mio percorso; non importa se esperto o meno esperto; ho passato ore a guardare un vecchio rammendare una rete o considerare perché un neofita ha potuto intraprendere inconsapevolmente delle strade che lo portano ad una cattura inusuale o inaspettata; l’esperienza è l’integrazione di relazioni e concetti vissuti e ragionati che possono provenire persino da un merlo incontrato sul viale alberato di casa quando, tornando da una notte a pesca, nella calma della prima mattina osa uscire a razzolare sul marciapiede e prende quella distanza di sicurezza dalla traiettoria del tuo percorso portandosi su un ramo appena più alto e guardandoti…ricordandoti quella spigola che ti osservava qualche ora prima dell’alba nell’ombra della poppa di una barca nel porto, percependo ogni minimo brandeggio della canna e diventando così “apparentemente”…diffidente.

Devo ringraziare Alessio e PescaOk non solo e non tanto per avermi invitato a parlare di pesca sul suo bellissimo e innovativo sito, ma soprattutto per aver colto al volo questo comune animo che ci spinge a divulgare e mettere a disposizione ciascuno i propri “mattoncini” con cui ognuno può decidere autonomamente di costruire il proprio pensiero per poi creare altri, ulteriori tasselli che vadano a ricomporre forse ambiziosamente un’idea unitaria della pesca. Ma l’ambizione se spinta dalla passione è un motore di grande pregio esistenziale…

È da un bel po’ di tempo ormai che mi occupo di pesca in mare con esche siliconiche e sebbene trovi insensato questo distinguo netto tra saltwater e freshwater, va detto che tale differenziazione esiste più nelle menti dei pescatori e delle parrocchie che nella realtà, laddove invece i pesci stessi, molte specie, frequentano e colonizzano ambienti misti. La spigola potrebbe, “potrebbe” essere un esempio lampante di tutto ciò proprio per la vita che svolge spesso in ambienti salmastri. Ma perché la pesca con i siliconici? Forse è in Italia che lo spinning in mare viene vissuto guardando a questa tipologia di esche come una novità, ma va detto che in altri contesti, forse con atteggiamento meno snobbistico, esclusivistico, o di sensazionalistica novità, le esche siliconiche vengono utilizzate per insidiare qualsiasi specie, incluso i grandi pelagici.

Cosa sono per me le esche siliconiche e perché a mio parere rappresentano un’opportunità più ampia per il pescatore? Un esca di gomma richiede forse qualcosa in più in termini tecnici poiché richiede il nostro diretto intervento durante il suo utilizzo,  ma ci restituisce la libertà massima dell’animazione ed il nostro coinvolgimento nell’azione di pesca e nell’ennesimo ripetersi della naturale ed ancestrale scena della predazione. Ogni strato d’acqua, ogni buca, ogni ostacolo, ogni scenario diventano così esplorabili liberamente e naturalmente proprio come un pesce in carne ed ossa, lì dove un minnow non potrebbe far altro che “passare” velocemente in modo sommario incontrando o meno i favori della nostro predatore. Con l’esca siliconica si possono inscenare infiniti comportamenti di una creatura sentendo ed interpretando appieno i movimenti dell’esca attraverso una continuazione ideale del nostro braccio che è la canna. “Sentirsi” esca è forse alla base di un atteggiamento che rende la nostra azione, i nostri movimenti impartiti all’esca, irrimediabilmente catturanti. La rigidità del materiale consente di produrre delle vibrazioni che potranno solo “ricordare” quelle di un pesce vero costituendo perciò una grossolana approssimazione del suono emesso dal nuoto di un pesce in carne ed ossa. Spesso questo è sufficiente a scatenare l’attacco, specie se lavoriamo in condizioni a noi favorevoli: la schiuma, la notte, la mangianza, la frenesia alimentare; e cioè se troviamo un predatore già abbastanza disposto all’attacco o semplicemente “distratto” o incapace, per le condizioni in cui si trova a cacciare, di valutare con esattezza di che natura è l’oggetto che gli viene presentato, o forse semplicemente disposto a commettere quel “fatale” errore di valutazione. Ma ciò a ben vedere, ci priva un po’ dell’essere autori in qualche modo della nostra cattura, interpreti della natura.

Sono certo che dopo qualche tempo di pratica e anche laute soddisfazioni in termini di catture, ogni pescatore che coltivi un rapporto intimo con la pesca inizierà sentire la necessità di andare oltre, e di tentare la cattura in un modo differente, e anche in tutte quelle condizioni dove normalmente l’assenza di una scaduta, ad esempio, o di grandi quantità di foraggio, delle grandi fogne… o delle condizioni meteo-marine più idonee, rendono tutto più difficile e spesso condannano l’angler ad un cappotto più che annunciato.

Altra cosa che rende molto differente un’esca in plastica o metallo da una in silicone è la difficoltà che si incontra, se non la impossibilità, nel soffermarsi in un punto particolare, di sostare o insistere, di razzolare o grufolare in zone particolarmente attive dove con le esche rigide nella maggioranza dei casi siamo costretti semplicemente a “passare” con la nostra esca. E se spesso questo rapido passaggio può scatenare l’attacco, molto spesso l’azione più catturante sarebbe quella di sostare o “occupare” quel territorio. Immaginate un predatore che veda un’esca passargli ad una certa distanza, magri un po’ fuori portata: potrebbe decidere tranquillamente di soprassedere e risparmiare le sue forze destinate magari ad un’esca più distratta che si sofferma invece nei suoi paraggi, invadendone il territorio e risparmiandosi magari un inseguimento. A volte mi è persino capitato di avere successo adottando la strategia di lanciare un’esca grossa ma fuori portata in lontananza…e poi passare con un’esca più piccola e meno invasiva in prossimità della spigola che quindi ha ceduto…

Riassumendo: il nuoto, le vibrazioni, l’azione e il “comportamento” di un’esca in plastica sono “vagamente” simili a quelli di un pesce vero ed inoltre la scarsa variabilità dei movimenti rispetto alla gomma, ci obbliga a tenere in cassetta numerosi modelli differenti rispetto alle esche in silicone in grado spesso di condensare in uno stesso artificiale la possibilità di animazioni molto differenziate e versatili. Va aggiunto inoltre che, specialmente se si adoperano le ancorette, un’esca rigida può catturare non perché sia stata realmente attaccata dal predatore allo scopo di cibarsene, ma perché magari esso urta l’esca o la scaccia nell’intento di difendere un territorio e questo certamente non può darci una grande soddisfazione, specialmente se poi vogliamo fare catch&release e quindi rilasciare la preda senza danneggiarla. Gli ami singoli, tipici dei siliconi, ci consentono invece la certezza dell’attacco volontario e un rilascio in tutta sicurezza, oltre a limitare al minimo le possibilità di incaglio e quindi, cosa più importante, consentirci di entrare perfettamente in pesca in tutti quei punti ostici e ad alto rischio incaglio, che spesso però sono anche gli spot preferiti dai nostri amici predatori. Anche le variazioni di velocità e le pause effettuate con un’esca in silicone sono molto più adescanti; la mobilità dell’esca è massima, sia perché la gomma è capace di catturare e interpretare anche il più flebile filo di corrente, sia perché essa continua a poter essere animata durante pause ed affondamenti.

Ma qual è la primissima, vera conseguenza tecnica di tutto ciò? Quando un’esca non solo viene ”trascinata” ma sosta, insiste in un punto, ribatte un gradino, esplora un ostacolo e quasi “vive” ecco che il filo non sarà più semplicemente una linea banalmente tesa, non sarà più il semplice traino della nostra esca, ma diventerà parte attiva e integrante del gioco, dell’animazione. Con le sue tensioni o lentezze, con il suo “disegno”. Tutto ciò è noto e assodato per molte tecniche ed in primis per le tecniche a mosca dove il filo è protagonista della presentazione dell’esca e utilizza ogni corrente e massa d’acqua per portare nel punto più appropriato l’esca. Se siamo disposti a pensare che il filo non è più una linea, e che l’esca potrebbe non solo descrivere più semplicemente una traiettoria ma “percorrere” un suo “cammino” ecco che il filo diventa il fluido disegno della nostra mente “liquida” e necessita una padronanza tecnica consistente. Sono proprio le sospensioni, le pause, le ripartenze, le trattenute, le “passate” e le differenti velocità e “caratteri” dell’animazione a far si che il filo non sia forse più qualcosa di semplicemente teso tra noi e l’esca ma diventi esattamente…parte integrante dell’esca.

Parlare di fili, di angoli, di tensioni richiederebbe tante pagine, tanti confronti e la consultazione di un bel pezzo di storia della pesca, ma forse semplicemente è importante avere delle basi e porsi sempre delle domande, cercare di mentalizzarsi sull’osservazione di ciò che accade al nostro semplice filo quando serpeggia nell’acqua. Spesso si tende il filo, in modo precipitoso si ritiene che il bando sia un nemico assoluto mentre invece potremo parlare di livelli di tensione o lentezze, di “bandi tesi” …ma seguendo nella lettura di queste righe capiremo insieme meglio ogni cosa. È un modo diverso di pescare non solo con l’esca ma col filo…il filo mentale che ci tiene uniti alla nostra esca e al suo “respiro”.

 

La corrente del fiume

 

Il fiume è corrente, vegetazione, ostacolo sommerso, differente consistenza dei terreni, rocce, e habitat perfetto per un ecosistema in miniatura,  è frizione di strati d’acqua differenti, è mescolanza di salinità diverse, è attrito tra l’acqua e i sedimenti. Il fiume è il fiume, è lo scorrere stesso della linfa della terra verso il mare. È un ambiente mutevole in dipendenza delle maree, delle piogge, delle stagioni…esattamente come il mare.  Parleremo un po’ di più della spigola ma solo come pesce che esemplifica egregiamente l’opportunità di vita e vite animali che offre il fiume. Di primo acchito potrebbe apparire un ambiente difficile da leggere e comprendere. In realtà la corrente all’interno del fiume e quindi anche a molti chilometri dalla foce, non nei tratti torrentizi,  è molto più semplice di quelle che per esempio ritroviamo in una costa frastagliata e schiumosa specie su fondali bassi o in foce.  Quindi la pratica della pesca della spigola risalendo il fiume è a volte più semplice se abbiamo le giuste basi, ed è anche spesso più redditizia in quanto questo tipo di ambiente è prediletto dalla regina che può incontrarvi ogni sorta di preda in quantità abbondanti e vi può attuare, grazie alla corrente stessa, tutto il carosello delle sue strategie di caccia basate sulla ricerca “a muso a terra” di piccoli anellidi e creature oppure del tipico agguato sfruttando ostacoli e altre opportunità di “invisibilità”.

 

Mi è capitato più volte di portare degli amici o delle persone che semplicemente me lo chiedevano su un ambiente fluviale a pescare le spigole e vederli incorrere nelle medesime comprensibili difficoltà che io stesso incontrai a suo tempo nell’affrontare la gestione dell’esca in corrente; difficilmente si riesce a raggiungere la profondità desiderata o il fondo o comunque a sentire di essere perfettamente padroni e “conduttori” dell’esca. Questo avviene perché normalmente pochi, specie tra gli spinners, e specie tra quelli che iniziano a pescare direttamente con lo spinning, conoscono almeno le basi dell’idrodinamica di un fiume e di come si distribuiscono le forze, le correnti, le velocità. Allora forse può essere importante cominciare a farsi un’idea iniziale di come funzionano queste cose, partire dalla semplicità di qualche illustrazione e di alcuni concetti basilari che forse possono “strutturare” la nostra conoscenza che sarà via via arricchita con l’esperienza diretta.  Vediamo insieme alcune di queste cose.

Iniziamo a “tagliare” il fiume e vedere schematicamente il suo flusso. La cosa più importante, basilare e imprescindibile, è comprendere che la velocità dell’acqua al suo interno non è costante in tutti i punti. Senza questo concetto non potremmo mai riuscire a gestire il nostro filo e quindi la nostra esca con padronanza.  Sul letto di un fiume, come sulle sue sponde, la velocità del flusso d’acqua e minore che al centro ed in superficie (figura). Verso le sponde e verso il fondo la velocità dell’acqua diminuisce notevolmente. Al centro del fiume il flusso è laminare e quindi monodirezionale….l’acqua, semplicemente, scende da monte a valle. Man mano che ci si avvicina alle sponde osserviamo che il flusso assomiglia maggiormente a quello di un cavatappi che gira infinitamente, come un’elica. Quando la marea è calante la velocità del fiume aumenta e con essa anche questi vortici sulle sponde che quindi cominciano a trasportare molti micro-organismi, a distaccare sedimenti e innescare molte catene alimentari.  Inoltre sul fondo del fiume c’è uno strato di maggiore salinità dove le acque si rimescolano con quelle dolci sovrastanti e dove, specie in presenza di ostacoli si apposta spesso la spigola pronta a sferrare il suo attacco magari con il favore di una marea calante e di tutte quelle creature che vengono trasportate dalla corrente o che si soffermano in prossimità di quegli ostacoli: anellidi, piccole creature e gamberetti che costituiscono la dieta del serranide.

Nei tratti curvilinei questo centro di maggiore velocità si sposta verso la parte esterna della curva (vedi figura) dove il corso dell’acqua tenderà maggiormente a scavare e rendere il letto del fiume più profondo erodendo le sue pareti. Dal lato opposto, nell’interno della curva, la profondità sarà minore e più lentamente degradante; è il luogo dei depositi, del terreno morbido e preferito da molti piccoli esseri. Se su questo lento “declivio” dell’interno della curva riusciremo a trovare degli spuntoni, degli ostacoli prominenti, è molto probabile che la spigola li usi come luoghi di appostamento o sosta. In questi punti spesso vediamo moltitudini di avannotti a galla…il resto della scena lo lascio a voi…a pesca!

Tornando al nostro fiume: dove lanciare? Come lanciare? Con che grammature affrontare la corrente? La tecnica di base non è complessa ma richiede prontezza, attrezzi sensibili ed affidabili e soprattutto, delle microguide agli anelli, in grado di mantenere il filo sempre in contatto con il fusto aumentando di molto la nostra percezione. Va premesso che la gestione di un filo in corrente, l’animazione con differenti esche e diversi pattern di animazione sono argomenti molto complessi che oltre a dover necessariamente essere illustrati sul campo, necessitano di trattazioni amplissime che qui non pretendono l’esaustività.  Ma va pur detto che occorre iniziare a sciogliere la rete dei misteri e trovarne il bandolo!

Quando lanceremo le nostre esche, specie in presenza di forte corrente e di fondali consistenti, potrebbe essere difficile raggiungere il fondo se non faremo attenzione al bando del filo ed alla veloce corrente di superficie che lo investirà. Se non controllato e non gestito con opportuno tempismo e angolazione della canna, sarà rapidamente trasportato a valle e con esso la nostra esca, specie se leggera, che non potrà così raggiungere gli strati intermedi o il fondo, rendendo, a volte,  inefficace la nostra azione di pesca.

 

 

 

 

 

 

Osserviamo le due figure (in alto), sono la visone dall’alto e dalla sponda opposta,  di un pescatore che effettua una passata in corrente da monte a valle arrivando ad esplorare il letto del fiume dove vi è appostata la nostra amata spigola,  magari dietro un grosso sasso, al riparo dalla forte corrente superficiale e in attesa dell’interesse di un pescetto ignaro per quello stesso ostacolo dove magari crescono sedimenti, piccole formazioni vegetali ed animali dove vanno a brucare le piccole prede…e anche le grandi! Se abbiamo capito per bene la differenza di velocità tra i vari strati nella sezione del fiume non ci sarà difficile comprendere quelle figure. Le illustrazioni sono tratte dal mio libro “Spinning, l’arte dell’inganno” e sono realizzate con la preziosissima collaborazione di un artista d’eccezione che è Sergio Criminisi, sagace fumettista e persona d’eccellenza italiana oltre che amico preziosissimo. Nelle figure ci sono delle sfere azzurre con una freccia dentro, le sfere più grandi indicano una maggiore velocità della corrente, quelle più piccole una minor velocità. Ecco che il “disegno” del filo durante le varie fasi della passata è direttamente conseguenza di queste diverse velocità. Il filo potrebbe sembrare in bando, ma non lo è in realtà…non è proprio esattamente un “bando” è solo una sorta di lentezza: le masse d’acqua rappresentate da quelle sfere azzurre funzionano come delle carrucole mobili, trascinate dalla corrente, sulle quali passa e si srotola… il nostro filo,  che quindi resta in un certo qual modo teso ma non dritto! E un filo teso, seppur in modo non rettilineo, è un filo sensibile che ci consente di gestire e sentire perfettamente la nostra esca, seguirne e deciderne il suo percorso e personalizzarne l’animazione.

Il lancio: il lancio va effettuato verso monte rispetto alla nostra posizione. Il primissimo affondamento ci aiuterà nel mettere in tensione il filo e soprattutto la canna verrà angolata verso l’alto seguendo la passata. Il filo “taglierà” inizialmente la corrente consentendo all’esca di essere quasi l’estremità di una lancetta di un orologio che passa da ore 3 a ore 6…verso il fondo, non tanto per il piombo ma proprio per gli effetti idrodinamici e le differenti velocità degli strati d’acqua. Su un fondale di 4/5 mt arriveremo agevolmente sul fondo con condizioni di corrente media con non più di 3 o 4 grammi a tutto vantaggio di una naturalezza, di una “velocità” leggera sul fondo che è davvero micidiale e che forse è più “onesta” rispetto al pur adescante battere di grosse zavorre aggiuntive sul fondo.

Seguiamo il pesciolino durante la passata: man mano che l’esca scende verso il fondo durante la passata raggiunge strati più lenti mentre il filo nella parte superiore affronta strati più veloci, la conseguenza di ciò, essendo il trecciato ovviamente inestensibile, è che il filo durante la passata, cambia assetto e geometria, cambia il suo disegno in acqua. Se impariamo a gestire queste curve, questi disegni del filo attraverso i diversi strati e le differenti velocità, e a non subire quella velocità stessa,  riusciremo a fare delle passate dove l’esca avrà una velocità realistica rispetto alle vibrazioni emesse dal suo nuoto, ne troppo veloce, ne troppo lento, proprio facendo si che il filo incassi le grandi velocità durante il cambiamento della sua curvatura incaricandosi di trasmettere nel frattempo i movimenti della nostra canna all’esca. Va notato che proprio perché il filo nella parte più vicina alla superficie è più veloce, ne risulta che l’esca, che procede in uno strato più lento, viene trascinata a valle ma con la testa rivolta verso valle e quindi in modo completamente diverso dalla pesca in trattenuta. Il ruolo del mulinello è minimo, è proprio il nostro essere un fulcro e punto fisso quasi senza recuperare filo a innescare quel lento e micidiale scorrere del filo su quelle “carrucole ideali”, evitando che l’intero complesso pescante esca-filo venga banalmente trascinato a valle con la corrente. Va notato in figura che quando il filo giungerà, distendendosi sui nostri “cuscinetti d’acqua” verso valle, l’esca man mano tenderà a risalire verso la superficie e a rivolgere la coda verso valle e la testa verso monte invertendo il suo orientamento. Questo è un aspetto problematico perché un pesce trattenuto in corrente, specie se si tratta di un jerk, va animato in modo completamente differente da uno che scende da monte a valle; la sua forza di nuoto dovrebbe  più arrancante,  insistente… e difficilmente un pesce che non trasmette sufficientemente questo “forzo” di risalita sarà credibile alla finissima linea laterale di una spigola. Lo spessore del filo, la lunghezza del finale vanno considerati anche in questo nuovo scenario dove l’acqua e la sua pressione sulla lenza la fanno da padrone. A volte mi è capitato di dover proporzionare i finali a discorsi che hanno più a che vedere con la corrente che con i carichi di rottura o la visibilità del filo stesso. È una pesca quella in corrente nel fiume che potremo poi esportare anche a mare in acque turbolente o con correnti composte e trasversali o frontali, potremo utilizzare questi concetti riuscendoci a servire del vento stesso. Cominciare dal fiume, dall’origine, è qualcosa di importante e che a mio avviso può chiarire molti dubbi tecnici…e poi…e poi c’è il silenzio della notte, lo sciacquio della corrente sulle sponde, i “suoni del fiume”,  l’odore del canneto, la nebbia che ti avvolge, il chiarore dell’alba che puntualmente ti sorprende e tutti i segreti, i pensieri che anch’essi scorrono come quel fiume …un fiume fuori e dentro di noi.

 

Articolo è concesso in esclusiva a PescaOk.it tutti i diritti riservati

 

 

 

 

 


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About PescaOk

Alessio Turriziani è il Fondatore e Responsabile del sito PescaOk.it Si occupa di pesca sportiva da tutta una vita ed è ideatore del progetto PescaOk Disabili.

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8 commenti

  1. Ciao ma sto libro dove lo si trova??

  2. Francesco Giordano

    Ciao Marco, grazie della stima che ricambio.
    la regina…risale, con tempi e modi diversi da fiume a fiume…ogni fiume è una storia a sè…posso dirti che la trovi a tantissimi chilometri dalla foce senza alcun problema….il bello è scoprire la storia e i misteri di ogni fiume…e “scriverli” col filo della tua canna.

  3. Complimenti all’autore dell’articolo e all’abilissimo disegnatore, un nuovo modo di vivere il fiume o di farlo rivivere a chi, magari, l’ha abbandonato per le acque salate Più di 30 anni fa vidi grossi cefali che raggiungevano il mio fiume regno di carpe e tinche in pianura ad oltre 30 km dal mare…oggi mi chiedo, ma se ci sono riusciti i cefali probabilmente ci saranno riusciti anche i branzini…? 😉 Saluti Marco Sardegna

  4. Straordinario!!! Un articolo veramente interessante e utile, grazie Giordano:-)

  5. Ringrazio Giordano per averci offerto questo bellissimo articolo e soprattutto per aver condiviso con lui una visione molto simile della pesca sportiva. Spero che questo articolo apra gli occhi e le orecchie a molti pescatori 🙂
    Alessio

    • Francesco Giordano

      Grazie a te per avermi dato la possibilità di condividere qualche pensiero, piccole cose, semplici e che spero possano servire da spunto.

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